(7-8 settembre 2019)
Verrà un giorno in cui il maltempo capirà che gli orientisti non rinunciano a partire per quanto infuri la pioggia o faccia un freddo invernale; ma non è stato il giorno dei campionati italiani long. Verrà un giorno in cui le intemperie comprenderanno che ottengono di più a rovinare il weekend di qualche gitante improvvisato o di sfortunati bagnanti al mare; ma non è stato il giorno della long di Millegrobbe. Perché se i campionati italiani sprint a Folgaria si sono corsi sotto la minaccia di un cielo grigio e cupo, il giorno dopo, sopra i prati e i boschi dell’altopiano di Lavarone, si è scatenato il finimondo, con il maltempo che ha cercato di emulare la giornata di tregenda della staffetta a Carpegna. Ma per quanto molti orientisti siano arrivati stremati, assiderati o semplicemente fradici, ben pochi si sono tirati indietro alla partenza, mostrando, ancora una volta, al maltempo di essere ossi davvero duri da rodere.
Un tempo eccezionalmente clemente aveva, invece, graziato i campionati italiani sprint. Ed è stato un bene, altrimenti tra i ripidi vicoletti di Folgaria sarebbe stato un bagno di sangue, in termini non soltanto figurati. Quanto al tracciato interessante, la missione è riuscita, nonostante la mappa più di tanto non potesse dare: non tutti possono avere Venezia, pertanto nella scarsità di soluzioni bisogna rimboccarsi le maniche.
Già dalla chiamata ai -3 minuti si capisce che sarà dura: subito una rampa assassina ed è appena la prima della giornata. Il tracciatore ha scelto una gara molto nervosa, con continui saliscendi; ma le discese durano un battito di ciglia, mentre le salite sembrano infinite. Ben presto, rampa dopo rampa, scalinata dopo scalinata, ci si chiede come sia possibile essere sempre a ridosso della via principale, se si annaspa ogni momento in salita. È una gara da fare a tutta, forzando sulle rampe e cercando di riprendere un po’ fiato nei brevi momenti di tregua. Metro dopo metro si incontrano altri concorrenti: nei loro volti è impressa una fatica via via più aspra, si ode il loro annaspare gradino dopo gradino. E quando la strada si fa finalmente larga e meno ripida, quando la mente indurrebbe a rilanciare per ovviare al tempo perduto, le gambe rispondono che non se ne parla neanche, che o si rallenta o loro non muoveranno un muscolo di più. È una lotta serrata della mente contro il corpo che si ribella, quella che travaglia ogni orientista nelle ultime scelte.
Ma nulla può preparare a quanto accadrà il giorno dopo. Già quando la sveglia suona si ode l’infuriare della pioggia; le persone normali imprecherebbero un poco, poi tornerebbero a dormire. Gli orientisti, invece, ritirano ordinatamente materassini e sacchi a pelo, rifanno i letti e preparano la colazione, si vestono pronti a sfidarsi in quella che (già lo sanno) sarà una giornata durissima. Si arriva poi a Millegrobbe: i bei prati alpini sono avvolti sotto una cappa di nubi nere e scrosci di pioggia. Si esce dalle macchine e il freddo punge come mille aghi. Si corre a rifugiarsi nelle strutture coperte, rassegnati ma pronti. Quando si avvicina la partenza, gli orientisti afferrano bussola e si card, salutano i compagni di squadra come se non li dovessero vedere più, traggono un respiro ed escono.
Fuori li accoglie una prima mitragliata di pioggia, che sarà seguita da innumerevoli altre; il freddo si fa via via più feroce; il bosco appare cupo e diabolico tra i neri riflessi delle nubi. Ma tutto ciò non ferma i preparativi: si corricchia per scaldarsi, si fa qualche battuta nervosa per spezzare la tensione, e si va avanti. Il nubifragio, quasi indispettito da tanta resistenza, infuria sempre più; uso a rovinare i weekend di spauriti gitanti non riesce a capire come spezzare questi personaggi che si avviano uno dopo l’altro verso la partenza. Qualche soddisfazione la ottiene soltanto con chi porta gli occhiali, che in un amen diventano inutili orpelli. Il maltempo si sfoga come quei bulletti da quattro soldi che se la prendono coi più deboli, ma per uno che piega, altri dieci, venti, trenta, gli fanno pernacchie andando avanti punto dopo punto.
È un peccato perché il bosco pare un tappeto tanto si corre bene. I particolari sono distribuiti con onesta quantità, ingannando il giusto senza incattivire troppo. Le rampe stesse non sono mai troppo dure, le discese gentili. La long però, per la sua stessa, natura, obbliga ad ampi giri moltiplicando così il tempo di esposizione alle intemperie. Così, quando si arriva sui prati dell’ultimo loop si è già fisicamente provati. Qui il maltempo prova il suo ultimo scherzetto infido, alzando un vento freddo che abbatte i concorrenti debilitati. Quasi tutti vanno avanti, ma ora il prezzo da pagare è altissimo.
Negli spogliatoi si assiste a scene che decenni di riscaldamento e progressi tecnologici sembravano aver cancellato: i concorrenti arrivano uno dopo l’altro, sfiniti, infreddoliti, sfibrati dalla pioggia gelida. Alcuni non trattengono i tremiti in un corpo spogliato di ogni calore, altri arrivano praticamente assiderati, sofferenti, in lacrime. Si cerca in ogni modo un po’ di calore, tanto che i risultati e le riflessioni sulle scelte passano decisamente in secondo piano. È un ritorno della lotta primordiale dell’uomo contro le intemperie, quando non c’erano tetti o caldaie a scaldare gli spauriti ominidi prima che fosse scoperto il fuoco. Oggi siamo tutti molto più deboli di quei lontani progenitori, ma gli orientisti non sono decisamente dei pulcini infreddoliti. Ci sono sport in cui si sospende tutto quando il pallone non rimbalza; l’orienteering può vedere depressioni, come quella della 100, diventare dei laghetti, ma nessuno si tira indietro quando si deve entrare in quell’acqua gelida. Sarebbe bene che il maltempo si faccia due riflessioni su questo e, la prossima volta, si scelga avversari meno determinati.
Il weekend dei campionati italiani segna l’allungo della Polisportiva Besanese nella classifica di società; per quanto gli avversari incalzino a breve distanza, l’ottimo comportamento di élite, giovani e master bianco-rosso-blu consentirà di partire in pole position nelle ultime tappe di questa entusiasmante corsa.
Eppure il weekend aveva riservato più lacrime che gioie almeno per le WE, con i quarti posti di Anna nella sprint e Irene nella long, entrambe per un niente. A Folgaria è un PE a negare ad Irene un podio verso cui era lanciatissima dopo una gara praticamente perfetta, mentre Anna, dopo un inizio difficile, pare volare nel finale, ma non abbastanza per risalire fino ad un bronzo che rimane davvero ad un passo. Nella long Irene onora il titolo dello scorso anno, duellando fino alla fine per il terzo posto, che le sfugge per appena nove secondi; un’inezia contando i quasi novanta minuti di gara. Buone risposte dai maschi almeno nella sprint, dove piazzano due di loro nei primi quindici e ben quattro nei trenta. Giornata di sofferenza pura invece nella long.
Tra i giovani si prendono la copertina, Bianca, seconda in W20 nella sprint, e Marco Anselmo, secondo in M16 nella long. Per entrambi una gara senza sbavature, condotta sempre nelle posizioni che contano. Non fanno quasi più notizia gli ennesimi podi di Silvia in W12; anche per lei arrivano due argenti: davvero una certezza quando si parla di medaglie.
Per trovare i titoli italiani ci si deve spostare nelle categorie master, solita fucina di risultati per i colori bianco-rosso-blu. Manca il sigillo nella long, ma nella sprint sono tre i titoli che prendono la strada verso le collinette brianzole: Anna e Stefano dominano in W e M 50 rispettivamente, mentre Annamaria si prende il titolo in W60, dove almeno per le sprint quest’anno non ha lasciato che le briciole alle rivali.
Ma dietro questi acuti c’è tutta una squadra che si mostra pronta a lottare, scaletta dopo scaletta, curva di livello dopo curva di livello, rafforzando la leadership nel campionato a squadre dove anche il punto preso nelle categorie inferiori, nelle posizioni di rincalzo, può essere determinante per il successo finale.
(di Andrea Migliore)